Villa Cesarotti
Descrizione
Villa Cesarotti a Selvazzano Dentro è un suggestivo complesso del XVII secolo inserito in un ampio giardino, formato dalla villa, dalla barchessa e dagli annessi rustici. L’edificio, costruito dalla famiglia Cesarotti di Padova, fu dimora di campagna dell’abate Melchiorre Cesarotti, letterato, filologo e traduttore vissuto tra il 1730 e il 1808, celebre per la traduzione dei Canti di Ossian, un poema epico scozzese. Intorno al 1792 l’illustre padovano diede il via ad una radicale opera di trasformazione di Selvaggiano (era questo il nome che aveva dato alla sua residenza per studi e riposo). Ci vollero quasi dieci anni perché il progetto si realizzasse in tutte le sue parti essenziali. Ne uscì un’opera complessa, sofisticata, carica di significati letterari e filosofici. All’interno della dimora selvaggianesca dove vi morì il letterato si trovano ancora le stanze che egli aveva chiamato della Filosofia positiva, della Filosofia pratica, della Letteratura. All’abbellimento della villa con pitture ed iscrizioni si accompagnò l’allestimento del Museo Selvaggianesco, una collezione di naturalia, una raccolta di “corpi naturali”, soprattutto conchiglie, minerali e fossili, provenienti dalle donazioni di illustri personaggi. Il Cesarotti provvide anche alla progettazione del parco secondo i canoni inglesi: esso presentava un boschetto funebre con statue ed iscrizioni, ed una grotta al centro del grande giardino romantico, chiamato dallo stesso autore “poema vegetabile”. La realizzazione cesarottiana va inquadrata nel vivace dibattito sui giardini che alla fine del Settecento agitò la cultura europea. Le scelte operate dall’abate, che nelle lettere agli amici accennava ai propri “sistemi d’architettura vegetabile”, sembrano ispirate ad una certa cautela. Per Cesarotti il giardino è sì esempio di sensibilità, come auspicavano i preromantici, ma anche di erudizione, di gusto enciclopedico. Fatto sta che Villa Cesarotti fu visitata per tutto il XIX secolo da importanti poeti e scrittori dall’Italia e dall’Europa, tra cui Madame de Stael, Isabella Teotochi Albrizzi, l’Alfieri, Ippolito Pindemonte, e forse il Foscolo. Purtroppo però, già a metà del secolo scorso quasi nulla restava più della costruzione cesarottiana.
Oggi Villa Cesarotti (poi, nell’ordine, Leoni, Valvassori e Fabris) è lontana dal fiume Bacchiglione, ma all’inizio dell’800 si trovava su una stretta ansa che è stata poi interrata e ridotta a coltura intorno al 1882. All’interno rimane solo il lacerto di un’iscrizione in una stanza del primo piano, quella dedicata dall’abate scrittore alla filosofia morale. All’esterno le condizioni del boschetto e del parco romantico, pericolosamente assediati dall’inarrestabile espansione edilizia, fanno rimpiangere “quell’amabile rezzo” che, a detta di Cesarotti, aiutava a guarire dai “mali effetti della Patavinità”. Il Bacchiglione costituiva allora un elemento importante di questo meraviglioso “giardino campestre”, irrimediabilmente compromesso quando l’ansa del fiume fu interrata.